Acquapendente, la cattedrale e la sua cripta del Santo Sepolcro di Gerusalemme

3 Aprile 2000 · Notizie · Ultimo aggiornamento il 3 Aprile 2020

AV – Acquapendente sorge in collina, nella campagna viterbese, sul margine di un ripiano che scende a nordovest nella valle del Fiume Paglia. Vivace cittadina, che risente degli influssi della vicina Toscana e della confinante Umbria. Situata nell’antica regione detta Tuscia -comprendente comuni oggi inclusi nelle provincie di Grosseto, Terni e Viterbo- una zona oggi a scavalco tra le regioni Toscana, Umbria e Lazio, conserva la sua vocazione agricola.

Le sue antiche origini risalgono ai Fallisci, quando si chiamava Acula, Aquila o Aquesium, mentre in epoca romana divenne una ‘mansio’. Fortezza degli imperatori tedeschi degli Ottoni, [è ricordata la prima volta nel 964 come castello imperiale di Ottone I], passò poi agli Svevi e quindi entrò a far parte del marchesato di Toscana; attraverso l’eredità di Matilde di Canossa pervenne alla Santa Sede, a cui però fu contesa dal Barbarossa, finché nel 1166 si liberò dalla soggezione imperiale. Sede dell’Abbazia del San Sepolcro, i cui frati ebbero giurisdizione nella zona, partecipò alle crociate. Tra la fine del XIV e l’inizio del XV appartenne per venticinque anni al Comune di Siena. Successivamente dal 1415 vi dominarono gli Sforza. Consolidata la libertà cittadina, divenne sede di diocesi sotto il papato di Innocenzo X dopo la distruzione di Castro e in seguito restò diretto dominio della Chiesa. La prima domenica dopo il 15 maggio vi si tiene, a ricordo della cacciata del Barbarossa, la festa della Madonna del Fiore o di ‘Mezzo Maggio’ in cui vengono fatti sfilare i cosiddetti pugnaloni, grandi quadri a soggetti religiosi o allegorici composti con foglie e petali di fiori. All’ingresso dell’abitato s’incontrano subito a sinistra la torre medievale detta ‘Julia de Jacopo’, porta delle antiche mura, che ospita al suo interno un Museo della Ceramica e a destra la Cattedrale di San Sepolcro, basilica consacrata nel 1149 dal vescovo Aldobrandino da Orvieto; costruita accanto all’Abbazia benedettina del Santo Sepolcro, documentata dal 1025, è incerto se vi fu annessa una casa di Cavalieri Templari. Rimaneggiata nella parte superiore verso la metà del 1700 nelle tipiche forme laziali dell’epoca, in seguito ai danneggiamenti subiti durante la seconda guerra mondiale è stata in parte ripristinata nelle antiche forme romaniche.

L’attuale Basilica di Acquapendente a livello esteriore è la sommatoria di diversi interventi di ripristino e demolitori di cui gli ultimi databili agli anni ’50 dello scorso secolo a seguito delle distruzioni belliche (1944), o a causa di bombardamenti che hanno messo a rischio il fabbricato dal punto di vista statico.

L’imponente facciata è fiancheggiata da due campanili, sulla destra corre un portico nel quale sono collocati resti dell’edificio romanico; delle tre absidi solo quella centrale è originaria. Il grandioso interno è a croce latina con tre navate divise da pilastri, il transetto e l’abside sopraelevati e copertura a capriate.

Il complesso architettonico basilicale presenta un impianto prettamente altomedioevale, nella cripta romanica vi è l’Edicola -posta al centro ed l’elemento certamente di maggior interesse- dedicata al del Santo Sepolcro.

Taluni storici azzardano che l’Edicola sia forse anteriore anche all’erezione della chiesa. Emergerebbe che questa sia in realtà la prima “Memoria” del Santo Sepolcro in Europa, ed in effetti non è da considerarsi impossibile.

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Sotto il presbiterio si estende la grandiosa cripta del secolo IX, adorna di affreschi del secolo XIII, è a nove navate divise da basse colonne con ricchi capitelli romanici reggenti volte a crociera gotiche. In una cappella a sinistra, entro un altare retto da un cippo pagano, sono conservate le reliquie ritenute della colonna della Flagellazione. Al piano inferiore vi è un sacello che custodisce sacri resti ritenuti dell’Aula del Pretorio di Gerusalemme: le dimensioni e l’orientamento del sacello sono quelle del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dal quale il titolo della chiesa, frequentata dagli antichi pellegrini di Terrasanta e dei Crociati.

Uscendo dalla chiesa, di fronte, sopra un colle, seminascosto da una piccola pineta, è visibile la Torre dell’Orologio, detta anche del Barbarossa, resto del castello imperiale probabilmente del XII secolo. Da qui si segue la Via Roma rasentando il fianco della chiesa di Sant’Agostino e si continua nella Via Battisti, dove s’incontra al civico 35 il Palazzo Viscontini di Ippolito Scalza, con ricco portale a bugne e un piano di finestre architravate. Poco dopo, la piazzetta con la chiesa di San Francesco precedentemente intitolata a Santa Maria, originariamente gotica, dal bel portale trilobato con tracce di protiro e campanile cinquecentesco isolato a due piani di monofore e uno di bifore. Usciti dalla chiesa si retrocede e si volge a destra nel corso Taurelli Salimbeni che porta alla vasta Piazza Comunale dove sono situati il monumento di Fabrizio d’Acquapendente di Tito Sarrocchi e il neoclassico Palazzo Comunale, a portico terreno. Di fronte sorge la chiesa di Santo Stefano, rifatta dopo la seconda guerra mondiale sulle rovine della precedente chiesa seicentesca.

Di non secondaria importanza è il luogo scelto per edificare la basilica concattedrale del Santo Sepolcro di Gerusalemme, a ridosso della Porta di Quintaluna -in prossimità dell’omonimo torrente-, un tempo detta “porta romana”, in prossimità della via che conduceva a Roma, sulla antica via Cassia. L’intento di costruire una chiesa dedicata all’Anastasis in Occidente sull’arteria viaria della Cassia-Francigena –all’ingresso sud-orientale, in direzione dell’Urbe, Città Eterna- in corrispondenza delle mura urbane, quasi a difendere la cittadinanza da assalti ed in segno di ossequio al luogo che custodì le spoglie mortali di Cristo. La chiesa di Acquapendente è riconosciuta dagli storici dell’arte come la prima chiesa in Occidente dedicata al Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Due elementi è opportuno osservare: la sua strategica localizzazione lungo la Francigena ed il legame ampiamente testimoniato nel tempo proprio con Basilica di Gerusalemme e l’Ordine del Santo Sepolcro. L’Edicola, o “Sacello” come comunemente è chiamato, è già ritenuta esistente da San Willibaldo nel 725, con le medesime dimensioni e orientamento di quella dello stesso periodo sita in Gerusalemme ed a forma di piramide su base quadrangolare. Difficile dire se abbia preceduto ogni costruzione o se fin dall’origine sia stata compresa in una chiesa successivamente demolita e ricostruita varie volte. È certo comunque, che nel 993 è menzionata un’Abbazia del Santo Sepolcro ad Acquapendente, dipendente da quello di Gerusalemme cui fu effettuata una donazione, ed è presumibile che la sua fondazione sia della seconda metà del X secolo, forse per volere di Ottone I la cui presenza è più volte accertata ad Acquapendente in quel periodo. Vuole la tradizione che una Regina Matilde -probabilmente Matilde di Westafalia (895-968) moglie di Enrico I di Sassonia, madre di Ottone I che si servì del patrimonio cedutole da Enrico nel 929 per fondare monasteri- diretta a Roma, costruì una chiesa dedicata al Santo Sepolcro, a Porta Romana ad Acquapendente. Nella cittadina -all’altezza del torrente Quintaluna– si fermarono perché i muli -carichi d’oro all’inverosimile- non volevano più proseguire. Una leggenda narra che le bestie da soma addirittura si inginocchiarono. La regina ebbe poi un sogno nel quale le fu chiesto di costruire in quel luogo una chiesa. Ulteriore testimonianza dell’importanza dell’Abbazia, dell’Edicola, delle reliquie e del loro stretto legame con il Santo Sepolcro di Gerusalemme data dalla consacrazione della chiesa da parte del Sommo Pontefice Eugenio III nel 1149 dopo la ricostruzione romanica del Vescovo Aldobradino di Orvieto dell’altare della cripta, nello stesso anno in cui un legato Pontificio, l’Abate Fulcherio, consacrò la ricostruzione della Basilica di Gerusalemme. All’interno del Sacello, in un tabernacolo dell’altare due piccole pietre bianche – che si vuole provengano dal pretorio di Ponzio Pilato – con alcune macchie che la tradizione ritiene del Preziosissimo Sangue di Cristo, portate ad Acquapendente dai Crociati dopo la presa di Gerusalemme.

La storia di Acquapendente è indissolubilmente legata a quella della Cassia su cui sorge. Asse strutturante del territorio dell’alto viterbese alla caduta dell’Impero, la Consolare romana, rimane come corridoio di collegamento tra Roma e Firenze (via di Monte Bordone), attraverso territori dominati dai Bizantini e dai Longobardi, con Carlo Magno (VIII) diviene la via dei Franchi la Francigena e con il Mille ed i pellegrinaggi verso Gerusalemme, parte di un percorso molto più complesso che permette alla città di relazionarsi all’intera Europa.

Etruschi e romani, infatti, lasciarono numerose tracce nel territorio, ma solo nel IX secolo abbiamo documentazione scritta dell’esistenza di un primo insediamento urbano ad Acquapendente (il borgo Farisa o Arisa) che nel 964 ospita Ottone I che da questa sede sigla dei trattati di pace e spedisce dei diplomi. La prima menzione documentata della frazione di Trevinano è nel 1073, mentre la prima segnalazione certa del centro abitato di “Torre Alfina” si ha solo nel 993 in un atto di donazione del Marchese Ugo di Toscana in favore della “Basilica del Santo Sepolcro” (Villa con Torre). Il territorio dei feudi di Trevinano e Acquapendente appartiene prima ai longobardi, nel 774 è incluso nella prima donazione di Carlo Magno, quindi tra il 1077 ed il 1080 con la donazione al Papa di Matilde di Canossa, entra a far parte del Patrimonio di San Pietro e della Diocesi di Orvieto, ma posto al confine del Patrimonio è oggetto dell’interesse di Orvieto e Siena che per tutto il medioevo se lo contendono. In particolare Acquapendente interessa ad Orvieto, che aspirerà sempre a governarla cercando di spostare fino alla Cassia il confine ovest del suo territorio comunale. Nella lotta Papato-Impero, la città è inizialmente acquisita dal Barbarossa ma nel 1166 –si vuole a seguito del miracolo della Madonna del Fiore (ciliegio secco fiorito)– la popolazione si ribella al potere imperiale consolidando le libertà cittadine. Alla riorganizzazione politica segue anche quella anche quella dell’impianto urbano ristrutturato -creando l’immagine della città visibile ancora oggi- distruggendo la fortezza dell’imperatore, di cui rimane solo la Torre, spostando all’esterno il percorso della Cassia ed acquisendo alla città la Valle del Rivo, che insieme ai 4 Poggi è racchiuso nelle mura. Alla distruzione di Castro, Innocenzo X, nel 1649 vi trasferisce il Vescovato stabilendone la sede nella Chiesa del S. Sepolcro che ne diviene anche la Cattedrale. Accanto alla Basilica del Santo Sepolcro, tra gli esempi più importanti di architettura religiosa ricordiamo le chiese di San Giovanni e San Francesco consacrate nel 1149, il Monastero di Santa Chiara, la chiesa di Santa Vittoria in cui è custodita la Madonna del Fiore, la chiesa e convento di Sant’Agostino costruiti nel 1290, la chiesa di Sant’Antonio Abbate e Santa Caterina, la chiesa di San Lorenzo e San Michele Arcangelo. Rilevante è poi quanto rimane della cinta muraria e delle porte tra cui quella del Santo Sepolcro o Romana con annessa Torre di Julia de Jacopo, che ospita il Centro visite della Riserva Naturale di Monte Rufeno e il Museo della Ceramica Mediovale. Tra gli esempi di architettura civile ricordiamo invece la Torre dell’Orologio -o “del Barbarossa”-, il Palazzo Comunale, l’Ospedale menzionato già esistente nel 1235, il Palazzo Vescovile, Palazzo Benci-Caterini, Palazzo Savini-Costantini, Palazzo Petrucci-Piccioni ed infine le Fonti, cui la città per la ricchezza di acque deve il nome, poste all’interno della città di Ringombro e delle Sugarelle. Un ulteriore tesoro è costituito dalla Riserva Naturale di Monte Rufeno, la più importante riserva laziale.

Come abbiamo avuto modo di accennare, la cripta del Santo Sepolcro di Gerusalemme in Acquapendente è la prima riproduzione mensurale d’Europa del Santo Luogo ove fu sepolto e risorse Nostro Signore Gesù Cristo.

Si presenta come un’edicola dalle dimensioni modeste, ammalorata sino ai lavori di restauro -completati a fine agosto 2007- da una grandissima umidità, anche a causa dei materiali impiegati. La cripta è considerata una delle più belle tra quelle romaniche esistenti in ambito nazionale ed europeo.

Scendendo dalle scale dell’ingresso sinistro si può notare innanzi ai nostri occhi che tutto il muro della parete sinistra è più recente delle ulteriori mura perimetrali. A livello visivo possiamo cogliere i vari passaggi storici dell’evoluzione architettonica della cripta1.

Si può dedurre –ed in maniera coerentemente logica- che nella parte centrale vi era un’antica porta di accesso, mentre in quelle laterali vi dovevano essere due aperture con sbarre di ferro, come è facile riscontrare nelle facciate di molte chiese antiche.

Riguardo l’ubicazione della Cripta, un manoscritto afferma che: «il tempio è costruito vicino ad un fosso, detto la Quinta Luna, che bagnava le mura del tempio. La porta d’ingresso antica, ora murata, è rivolta al levare del sole»2.

A chi entrava dall’antica porta si presentavano, così, due ordini di otto colonne ciascuno.

Tra la quarta e la quinta posizione degli ordini sorge, dalla profondità di circa m. 1,60 dal resto del pavimento, la piccola Cappella del Santo Sepolcro e di fronte, a sinistra, un presbiterio riscontrabile dai seggi di tufo situati nell’apertura di quattro archi, con due ordini di quattro colonne ciascuno. Le ventiquattro colonne sono divise a gruppi di otto intorno al tempietto e collocate in due ordini di quattro ciascuno, formando, così come sono, una T (tau), o “croce greca”.

In origine esistevano due piccole nicchie nelle aperture di accesso alle cappelle laterali, rese agibili con la ricostruzione del 1950.

Nella cavità della parete di sinistra era collocato un altare intitolato a Santa Lucia, Martire e Vergine siracusana. Una riproduzione dipinta della vita della Santa Martire, di bella fattura -specie nel suo volto- e alquanto evidente consente anche oggi il culto della devozione popolare.

Troviamo indicazione in Pietro Paolo Biondi che già ai suoi tempi così scriveva: «fra le altre S. Reliquie vi è – nella Cattedrale – un dito di S. Lucia, che si conserva in un cassettino d’argento3 in mezzo del quale vi è un guscio per dove si vede e si toccano gli occhi in quella mattina al Popolo con devozione dal Sacerdote, dopo aver detto la Santa Messa all’Altare di Santa Lucia, che sta nel sepolcro da basso detto San Sepolcrino, dove si fa la festa di detta Santa, nel giorno della sua festività cioè il 13 Dicembre».

Per quanto attiene l’altare della nicchia di destra è alquanto improbabile riuscire a tracciare la devozione cui sia stato dedicato ed eventualmente il Santo che adornava la cavità.

Il Nardelli in un suo documento citato dà anche le dimensioni della cripta: il colonnato dell’aula dei fedeli è lungo «palmi architettonici 1084, largo 375»; il presbiterio è lungo «palmi 406, largo 367»; le cappellette sono «lunghe palmi 88 e larghe 6 (m. 1,50 )9».

Esaminando le colonne ci si accorge che sono tozze e basse, alquanto sbilenche, aventi basi e capitelli dissimili. Queste ultime -basi e colonne- sono di buona fattura, il materiale è pietra dura locale, ad eccezione della terza dell’ordine destro10 più bianca e meno porosa. I capitelli si presentano in alto quadrangolari e scolpiti su una pietra dolce, dalle decorazioni bizzarre, quelli maggiormente ingentiliti e più alti sono verso il centro della cripta.

Iniziando a considerarli a due a due nei tre gruppi delle otto colonne cominceremo da sinistra11 dai due capitelli per chi volta le spalle.

Il primo capitello presenta -come elemento decorativo- su soltanto tre facce un viso molto primitivo ed appena schizzato, inscritto però all’interno di due motivi ornamentali a forma di foglie. La fronte che guarda verso la nuova recente cappella è priva di decorazioni. Ci si potrà domandar per quale motivo detta colonna si può chiamare -non a torto- “incompiuta” poiché presenta solo tre facce del suo capitello lavorate. È una bizzarria, segno di originalità rispetto tutte le altre decorazioni12.

Orbene, siamo partiti dal considerare questo primo capitello che è certamente un enigma, il meno “convenzionale” e certamente quello più studiabile in quanto si allontana –anche a livello stilistico- da tutti gli altri, difatti troviamo strani segni sulla lunghezza della parte superiore del frontespizio rivolto verso il centro. Al riguardo si propende nel considerare dette decorazioni forse una scrittura, come taluni affermano.

Il secondo capitello presenta sulla fronte rivolta al centro un volto umano chiuso ed adornato tra due foglie, le ulteriori facciate invece sono costituite da due serie di tre foglie e da una serie di due.

La decorazione fitomorfica ricorre nei capitelli della terza e quarta colonna che in comune presentano -anch’essi- foglie strane e figure geometriche. Il quarto capitello13 risulta ingentilito nel mezzo del frontespizio di tre lati da tre piccole teste ed termina con una spaziosa cornice.

Un’ulteriore figura decorativa vegetale compare nel capitello della quinta colonna14 in cui sono visibili, in basso, ai quattro angoli, delle pigne.

Il capitello della sesta colonna –dalle forme più minute rispetto le altre- è costituito da quattro rapaci angolari che mostrano le ali aperte, inoltre i rostri appaiono stretti verso il terminale dalla colonna: quattro musi strani dai larghi baffi poggiano sul mezzo delle ali dischiuse.

Il capitello della settima colonna si mostra ornato di foglie e così suddiviso: in tre lati di sopra, dei piccoli volti sono invece posti al centro; un’ampia cornice floreale serra il capitello.

L’ultima del gruppo è l’ottava colonna, del tutto fuori asse con le altre del presbiterio. Questa posizione anomala mostra -rispetto alla preesistente cappellina del Santo Sepolcro- che la cripta è stata studiata come la dignitosa custodia dell’effigie della sepoltura gerosolimitana. La decorazione del capitello di questa colonna è ornata da grandi foglie: piccole teste, in tre lati ed in posizione centrale, contornate da una cornice a motivo fitoforme.

Percorriamo ora l’area dalle colonne più vicine alla parete che è a ridosso della Via Cassia ed esaminiamo il secondo gruppo sempre da sinistra.

I primi due capitelli sono simili per la loro decorazione a foglie ornamentali. Il primo dei due, però, ha una testina rivolta al centro nel mezzo del frontespizio sotto la cornice.

Il terzo presenta delle decorazioni con foglie sovrastate da una grande cornice. Il quarto reca anche quattro pigne negli angoli unitamente alle foglie. Il quinto ed il sesto mostrano motivi ornamentali con foglie e fiori ed un’alta e movimentata cornice terminale. Il settimo si presenta con foglie e tre testine in soli tre lati: la cornice ha negli angoli quattro musi strani e nei quattro lati unite ai musi quattro coppie di animali fantastici15.

Il più particolare dei capitelli è certamente l’ottavo ed è anche il più ammirato della serie. Il capitello è così composto: due teste di ariete nei due angoli opposti del quadrilatero e da ciascuna testa nei lati adiacenti si allungano due corpi16. Superiormente troviamo in una fascetta scolpiti solo su tre lati dei piccoli animali17. Ciò che stupisce per l’originalità creativa del capitello -nella fascia terminale- sono i quattro musi di animali immaginari di cui due sembrano rigurgitare fuoco mentre gli altri hanno corpi lunghi e gambe cortissime.

Ora passiamo ad analizzare il terzo gruppo di otto colonne del presbiterio, dando inizio -ancora una volta- dalla sinistra di chi volta le spalle alla finestra dell’abside.

La prima e la seconda colonna sono addossate al muro perimetrale -paiono quasi dei pilastri- e presentano come ornamento dei capitelli con soltanto foglie rudimentali. La terza colonna ha un capitello con quattro rapaci dalle ali spiegate negli angoli: al centro delle facciate piccole teste al di sopra le ali e superiormente una cornice. Il quarto capitello presenta ancora una volta delle figure di foglie. Gli angoli del quinto capitello sono decorati da quattro teste di ariete che sostengono una grande cornice. I fianchi del sesto sono ricolmi di foglie e fiori e presentano delle grandi cornici. Il settimo capitello presenta nuovamente delle decorazioni fitomorfe e l’ottavo ha quattro rapaci angolari che dispiegano le loro ali sui lati limitrofi, sul mezzo delle ali dischiuse sono individuabili quattro teste. Inoltre il capitello è chiuso da una cornice assai semplice.

Le mura perimetrali presentano pilastri quasi tutti di tufo e troviamo scolpite in rilievo un rapace, una testa di ariete, due sirene, tre teste di tori, oltre a illustrazioni fitomorfe e figure geometriche.

L’aula dei fedeli è sovrastata da tre volte di tufo abbellite con incroci di nervature, pur essi in tufo, ma tondeggianti nelle navate di sinistra e di destra, mentre la volta centrale è formata da nervature lisce (quattro) e tonde (sei).

Le nervature dell’abside sono tonde nelle navate laterali, così come due di quella centrale sono curve mentre quella del centro è liscia. I capitelli e anche le basi presentano le forme più svariate18.

Nel 1860 Venanzio Caporioni elaborò un progetto di rivestimento marmoreo del prospetto della cripta, rivestimento nel 1950 trasferito poi nella parete d’ingresso principale alla sacrestia. L’ingegnere fu uno dei primi ad affrontare con storicità la cripta e ad eseguire studi che lo portarono ad affermare, dopo un’attenta analisi, che la cripta era «un lavoro del sesto-ottavo secolo, essendo un misto proprio di quell’epoca sul passaggio dal Bisanzio al gotico». Interessante notare che le fasi iniziali del cantiere erano certamente precedenti l’Anno mille e questo restava confermato anche dal tipo di costruzione e di tecnica costruttiva, difatti «vi erano grossi tori di pietra, i quali servirono per riempire le fondamenta dei campanili».

La zona absidale presenta ora un altare e la stele che lo sorregge reca frontalmente la scritta: «D. M. (ovvero “Diis manibus”)». L’ipotesi più plausibile è che questo cippo fosse un’ara familiare eretta da un tale Statilio in ricordo del fratello carissimo. Il materiale impiegato per la costruzione della mensa e del gradino dell’altare è pietra di Bagnoregio.

La cripta ha anche tre affreschi che risalgono al XIII secolo. Di quello riguardante Santa Lucia ne abbiamo già detto, mentre gli altri due sono di qua e di là per chi guarda le scale discese.

Sulla sinistra si può ammirare Dio Creatore benedicente con il sole e luna, questi due sono posti ai suoi lati19. Al di sotto dell’arco in cui è inserito sono ancora ben visibili le figure di Santa Caterina d’Alessandria e San Michele Arcangelo. La prima rappresentante la prima donna-filosofo con il libro tenuto nella mano sinistra mentre il secondo, rappresentato seguendo la classica figurazione iconografica, è il combattente con spada e bilancia che sconfigge le forze del male.

Non è un caso che proprio in un tempio dedicato al Santo Sepolcro di Gerusalemme, addirittura riproducente a livello mensurale quello gerosolimitano, vi sia un’illustrazione dell’Arcangelo. Questa prassi a livello devozionale risponde anche ad un’ulteriore esigenza: Acquapendente sorge sulla via francigena e probabilmente era visitato anche dai pellegrini diretti verso la Terra Santa che in epoca antica si dedicavano all’Arcangelo20.

Sulla destra della scalinata è dipinta una “Natività” che presenta il bambinello avvolto in fasce che trova pace su un grande letto. Affianco a Gesù Bambino dormiente stanno la Madonna e San Giuseppe, inginocchiati in atteggiamento di profonda contemplazione e di adorazione, posti in primo piano. La scena si presenta nella logica della tradizione iconografica, difatti dietro al lettino troviamo i tradizionali animali: bue ed asinello. I personaggi presentano lineamenti estremamente delicati ed ingenui, ancora sufficientemente chiari.

L’edicola che riproduce il Santo Sepolcro -amichevolmente detto dagli aquesiani “san sepolcrino”- è il Santuario del Sangue Prezioso di Gesù Cristo. Una struttura caratteristica, sicuramente rimaneggiata durante i secoli, ma sempre in stile rispetto l’originale riproducente il Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’accesso all’edicola presenta da una doppia scalinata direttamente scavata nel masso che discende dalla superficie dell’attuale piano di calpestio. Otto gradini convergono in un unico pianerottolo di un metro quadrato circa, una doppia balaustra di ferro è posta sui margini della profonda apertura.

Al di sotto dell’inferriata più lunga, al centro del muro, vi è un’iscrizione latina21 nella quale si afferma che il tempietto –che sorge alle spalle di chi legge- è difatti simile nell’orientamento e nell’aspetto a quello di Gerusalemme. All’interno della nicchia del tabernacolo si custodiscono alcune pietre portate, su cui è stato profuso il Preziosissimo Sangue di Cristo durante la flagellazione, dal pretorio di Pilato montate in mezzo a due pietre più grandi.

Un’ulteriore cancellata di ferro fa da ingresso all’edicola. Di fronte all’altare, nella nicchia, è un affresco e sono ancora alquanto distinguibili un angelo in atto di presentare il “Velo della Veronica” in mezzo ai Santi Francesco e Bonaventura.

All’interno del sacello -nella parte più alta del soffitto- è appeso un lampadario in ferro battuto a memoria degli Aquesiani rimasti illesi nel grande terremoto del 27 marzo 1922.

Sopra l’architrave della porta d’ingresso poggia un’apertura ottagonale chiusa solo da inferriata. Un monogramma di Cristo e palme abbellisce la cancellata consentendo la fruizione anche dall’interno della Basilica superiore. La riproduzione del Santo Sepolcro presenta una copertura a forma di piramide rettangolare -nella cui sommità c’è una sfera- con vertice molto basso.

Il complesso del Santo Sepolcro acquesiano raccoglie sia il culto micaelico che la più antica translatio Hierosolymae.

1 La cripta segue uno sviluppo che schematicamente riportiamo: al centro il nucleo primigenio “generatore” dalla zona absidale, la modernità in realtà proviene dal basso –seppure il livello di calpestio differenziato mostra che l’edicola fosse sorgente oltre un metro e mezzo sotto l’attuale pavimento e che quindi l’antica chiesetta fosse molto più in basso-, mentre le parti laterali solo da una certa altezza.

2 Dovuto a Nardelli Miroclete (1792-1850).

3 Oggi, purtroppo, il dito ed il cassettino d’argento non esistono più.

4 Corrispondenti a 27 metri.

5 Corrispondenti a 9,25 metri.

6 Corrispondenti a 10 metri.

7 Corrispondenti a 9 metri.

8 Corrispondenti a 2 metri.

9 Corrispondenti ad un metro e mezzo.

10 La terza è più esile.

11 Questa scelta non è casuale, poiché probabilmente un tempo erano proprio quelli vicini all’antica porta d’ingresso.

12 Forse cambio di residenza o morte dello scalpellino.

13 Questo quarto capitello si presenta molto più rifinito del terzo.

14 Interessante notare che le foglie e le figure geometriche lo rendono simile ed assimilabile agli altri.

15 Le decorazioni zoomorfe rappresentano leoni e serpenti.

16 Il capitello si presenta con due teste e con quattro corpi.

17 All’interno delle decorazioni superiori troviamo un serpente.

18 In realtà tutta la concattedrale e la relativa cripta risponde ad una sorta di anarchia stilistica, perciò potremmo dire che tutto l’edificio non ha un –unico- ordine architettonico. Forse è proprio per ciò che guardiamo con interesse ad un tempio della cristianità talmente grande che in molteplici epoche –e relativi abitatori di quel tempo e di quella relativa fase sociale- hanno così contribuito a renderla particolare ed unica nel suo genere.

19 Questo affresco è ubicato sulla sinistra discendendo le scale proprio nello spazio dell’arco.

20 Acquapendente sorge a circa seicento chilometri dal Monte Sant’Angelo presso il Gargano ed altrettanti dalla Sacra di San Michele in Piemonte.

21 L’iscrizione riporta: «HAEC AEDICVLA/ ANTIQVISSIMAE VETUSTATIS/ IN SAXO ITEM EXCISA/ EXBIBET MENSVRA SVA ET FORMA/ SEPVLCRVM AVGVSTVM D. N. JESV CHTISTI/ ET ALTARIS MENSA LOCVM REFERT/ VBI CORPVS SACROSANCTVM POSITVM EST/ ARCVLA LAPIDES SERVAT/ QVOS PRETIOSISSIMO SANGVINE/ IN PASSIONE FVISSE TINCTOS/ FAMA ET CVLTVS AEVI IMMEMORABILIS/ TESTANTVR».